Mark
Lanegan è uno degli artisti più prolifici degli ultimi tempi.
L'anno scorso ha dato alle stampe “Blues Funeral” (primo lavoro a
nome Mark Lanegan Band in otto anni) a cui è seguito un lungo tour,
visto nelle tappe di Bologna e Lubiana. Ricordo il chitarrista che
l'accompagnava, Steven Janssens, un suono e un gusto negli
arrangiamenti non indifferente.
Ne
fa seguito la colonna sonora di “Lawless”, diretta da Nick Cave e
Warren Ellis, in cui presta la sua inconfondibile voce. La nuova
linfa creativa viene dalla collaborazione con l'inglese
polistrumentista Duke Garwood con cui incide “Black Pudding”
lasciando da parte certe sonorità elettroniche per tornare ad
atmosfere desolanti e rarefatte. Poco dopo si cimenta in un album di
covers, “Imitations”, in cui trovano spazio rivisitazioni di
brani più o meno noti di artisti del calibro di Frank Sinatra, Nick
Cave, John Cale e Neil Sedaka, solo per citarne alcuni.
Forte
di questi nuovi lavori torna in tour accompagnato da cinque elementi:
chitarra, basso, sax tenore, violino e violoncello. Un'edizione molto
intima, da teatro; una vera e propria messa rock.
Mestre,
Teatro Corso gremito, tutti seduti in religioso silenzio, avvolti dal
buio, poche luci fioche sul palco. Sarà
Duke Garwood ad aprire la serata; solo alla chitarra suona
accompagnamenti minimali sussurrando melodie ipnotiche. Come un
Caronte ci traghetta verso le profondità che ci attendono e non
tarderanno a catturarci. L'atmosfera è creata, siamo pronti a
partire cullati da atmosfere desertiche e una voce al gusto di
whiskey. Soli.
Il
viaggio comincia sulle note di When you're number isn't up,
brano d'apertura di Bubblegum.
La
voce bassa di Mark e la sua presenza magnetica ci trascinano
sinuosamente verso gli abissi dell'anima.
Segue
il traditional The Cherry Tree Carol registrato nell'Ep
natalizio “Dark Mark Does Christmas”, canzoni noir ben lontane
dai gingle patinati alla Mariah Carey.
One
Way Street continua sulla scia, in una spirale sempre più
profonda. Si passa poi a The Gravedigger's Song, uno dei pezzi
più movimentati della serata, convincente anche senza batteria.
Ma
è con Phantasmagoria Blues che si arriva definitivamente agli
inferi, nel girone degli amori infranti. Da ascoltare a capo chino e
occhi chiusi, mentre i brividi scendono lungo la schiena. L'aggiunta
degli archi perfettamente mescolati al sassofono la rendono ancora
più intensa, e poi la sua voce fa il resto.
A
questo punto non ci resta che farci prendere per mano ed esplorare il
paesaggio desertico di “Black Pudding”, in cinque canzoni.
Prendete un pezzo come Mescalito, immaginate Harry Stanton
mentre cammina inebetito e senza meta all'inizio di “Paris, Texas”
e capirete cosa intendo. Lì la musica era suonata da Ry Cooder ma il
paragone è senz'altro azzeccato.
L'ultima
parte è costituita dalle covers di Imitations, ben due tratte dalla
penna dei Sinatra: Pretty Colors di Frank e You only Live
Twice di Nancy. C'è anche spazio per un tributo a Lou Reed in
un'ispirata versione di “Satellite of love” (una delle migliori
che abbia mai sentito).
Mark
Lanegan non recita una parte, è un personaggio tormento ed
autentico, lo si percepisce sulla pelle. Ne è riprova il modo in cui
si abbandona su una sedia, in stato di trance, durante l'assolo di Halo of ashes, classico degli “Screaming Trees” e meta finale
del viaggio, eseguito in due, con il solo accompagnamento del
chitarrista. Risuonano le ultime note, si accendono le luci ed è
tempo di tornare sulla terra.
Setlist:
When Your Number Isn't Up
The Cherry Tree Carol
One Way Street
The Gravedigger's Song
Phantasmagoria Blues
War Memorial
Mescalito
Cold Molly
Driver
Pentacostal
Pretty Colors
Mack The Knife
You Only Live Twice
Solitaire
Satellite Of Love
Mirrored
On Jesus' Program
Halo Of Ashes
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