Comincio subito col dirvi che quello che state per leggere è il
resoconto di una di quelle pazzie che si fanno poche volte nella vita e
per pochissimi artisti.
Probabilmente già sapete del nuovo corso artistico del camaleontico Jack White. A poco più di un anno dallo scioglimento ufficiale dei White Stripes, ha appena pubblicato un album solista dal titolo Blunderbuss
annunciando un tour mondiale con inizio a maggio. Fin qui niente di
anomalo se non fosse per l’aggiunta a sorpresa (con una settimana di
anticipo..) di due intimate shows in concomitanza con la
pubblicazione dell’album. Parigi e Londra le città prescelte.. La
tentazione è troppo forte, aspetto da anni questo momento e non voglio
farmelo scappare: mi procuro un biglietto per l’HMV Forum di Londra,
situato nel rione di Camdem, prenoto un volo e una camera in ostello.
Tre giorni dopo, da solo e zaino in spalla, parto per Londra.
Mezza giornata per ambientarmi, una bella dormita ed è ora di
avviarsi sul luogo dello spettacolo. I manifesti annunciano il fin
troppo prevedibile SOLD OUT, il cielo è plumbeo e scende una classica
pioggerellina inglese, gelida. Una colazione a eggs e bacon, qualche
caffè, un pò di ottima letteratura (il vagabondo delle stelle
di Jack London -!!-) mentre si avvicina l’ora fatidica. Alle 16 mi
unisco a un manipolo di fans motivati, di tutte le età ed esclusivamente
inglesi (che sia stato l’unico ad aver organizzato un viaggio simile ?)
Discutiamo sul nuovo disco e sul fatto che la setlist sarà composta da
canzoni tratte da tutta la sua discografia, da quelle scritte per i
White Stripes a brani dei Raconteurs e Dead Weather, e sul fatto che si
faccia accompagnare in tour da due band distinte, una di soli uomini e
una di sole donne scegliendo la mattina del concerto con chi suonare..
Una trovata inusuale e geniale.
Alle 18 ci consegnano i braccialetti,
niente biglietti classici, probabilmente per scongiurare i soliti affari
dei bagarini. Ancora un pò d’attesa e le porte vengono aperte! Davvero
una bella location, molto più piccola dei locali in cui suonerà nel tour
ufficiale. La capienza, tra posti in piedi e balconata, è di circa 2000
persone. Il palco è piuttosto basso e vicino alla transenna. Qualche
bar, un piccolo guardaroba e il banchetto del merchandise in cui vendono
l’album in vinile, magliette con la sigla III (da Jack White III) qualche gadget e il poster ufficiale della serata che recita: Jack White, give your blood ! Birra in mano, posto il seconda fila, la tensione sale.
Alle 20 e 30 è il turno del gruppo spalla, le inglesi Smoke Fairies, una delle numerose band emergenti prodotte da Jack con la sua casa discografica indipendente, la Third man Records. Non male per scaldare ulteriormente gli animi ma niente in confronto a quello che ci aspetta.
Sono
le 21.20, quattro tecnici di fiducia in cappello, completo e cravatta
azzurra lavorano con perizia alla preparazione del palco liberando i
vari strumenti dalle lenzuola bianche che li ricoprono lasciando per
ultima la batteria, unico indizio per capire quale band lo accompagnerà.
Saltano subito all’occhio le valvole retrò degli amplificatori, come
immaginavo l’amplificazione è esclusivamente analogica !
21.45, le luci si spengono, la batteria viene scoperta, sarà la band
di sole donne ad accompagnarlo. Entrano sei bellissime in abito da sera
azzurro. La lunga attesa è finita: ecco Jack White, vestito sobrio in
jeans e maglia nera come a dire: “Pochi fronzoli, siamo qui al servizio
della musica!” imbraccia una chitarra azzurra e… BAM ! L’intro di Dead Leaves and The dirty ground, classico dei White Stripes, rimbomba come un missile e io perdo il controllo.
Sul palco straborda energia femminile all’ennesima potenza. La batterista, Carla Azar,
sistemata a lato, ci dà dentro senza esclusione di colpi e non fa
rimpiangere una certa Meg White. Contrabbasso, pedal steel, violino. Ai
cori e cembalo la cantante di colore Ruby Amanfu e al piano e alle tastiere la rossa Brooke Waggoner.
Fanno tutte la loro parte alla grande mentre Jack se la ride dandoci
dentro con una grinta da frontman d’altri tempi. Le nuove canzoni, già
grintose sul disco, nella resa live decollano all’ennesima potenza. La
stessa “Love Interruption” con la
strumentazione al completo raggiunge picchi più alti rispetto allo
scarno arrangiamento da studio. La scaletta è ben calibrata e, come già
annunciato, comprende, oltre alle nuove, canzoni tratte da tutta la sua
discografia saggiamente riarrangiate, se non addirittura migliorate. Lo
si capisce sin dalla quarta canzone Top Yourself
originariamente registrata nel secondo disco coi Raconteurs, qui
dilatata e supportata da un lungo fraseggio con la violinista. Per non
parlare di Hotel Yorba, I\’m Slowly turning into you o We are going to be friends,
registrate con i White Stripes ma eseguite al massimo delle possibilità
grazie al contributo di non due, ma ben sette strumenti. C\’è anche
posto per Two Against One, contributo di Jack all’album Rome di Daniele Luppi e Danger Mouse, dalla resa quasi psichedelica. Il primo set si conclude con una delle mie preferite: Ball and Biscuit (White
stripes) tratta dal millon seller Elephant, quasi dieci minuti di
chitarra incendiaria, da perdere i sensi ! L’encore si apre con il pezzo
più potente di Blunderbuss: Sixsteen Saltines, le pile sono ancora cariche! C’è tempo per My Dorbell, l’inaspettata Carolina Drama (The Raconteurs) con tanto di assolo vocale della cantante Ruby Amanfu che ricorda i Pink Floyd di The Great Gig In The Sky e l’immancabile Seven Nation Army
con pubblico in estasi a ripeterne il riff, abusato ma decisamente
efficace (almeno sono in inghilterra e non in Italia..) C’è ancora tempo
per Goodnight Irene, standard scritto nel 1933 dal bluesman Huddie ‘Lead Belly’ Leadbetter.
Passato remoto, presente e futuro si fondono in un tutt’uno.
Un’esperienza da raccontare ai nipoti.
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