Una
volta, molto tempo fa, un amico, parlando di Bob Dylan, mi disse: “Se
ti capita di vederlo dal vivo preparati ad assistere ad uno degli
artisti più imprevedibili sulla piazza; può farti vedere le stelle
in una serata piovosa, o, se non è in serata, annoiarti a morte e
darti la sensazione di essere ad un concerto di polka”.
Bob
Dylan resta Bob Dylan, e su questo non si discute. Con cinquant'anni
di carriera e trentacinque album alle spalle è l'artista vivente più
longevo in assoluto. Anche se la stragrande maggioranza di pubblico
conosce solo i super classici degli anni '60, negli ultimi vent'anni
ha sfornato dischi di grande spessore, Oh Mercy e Time Out
Of Mind su tutti. Lo stesso Tempest, del 2011, non lascia
nulla a desiderare, anzi! Pezzi come “Long and wasted years” o
“Pay in Blood” sono la dimostrazione di un cuore selvaggio ancora
pulsante, e a quell'età non è da tutti.
Dal
vivo, come detto, è altra cosa; le potenzialità non mancano.
Per farvi un idea, e sentire la faccia migliore della medaglia, vi
consiglio di ascoltare Bootleg Series Vol.8, in cui oltre a
b-sides ed outtakes (periodo 1989-2006) potete gustarvi numerose
chicche live, non vi deluderà.
Condivido,
tuttavia, l'impressione del mio amico; c'è anche un'altra faccia
della medaglia: quella noiosa, quella in cui, da spettatore, senti le
gambe pesanti e non vedi l'ora di tornare a casa e mettere sullo
stereo “Oh Mercy” per consolarti.
Bob
Dylan, ormai settantunenne, è così, imprevedibile; da quando ha
deciso di abbandonare la chitarra elettrica per starsene ricurvo su
una tastiera non sai cosa ti può capitare. Per non parlare del modo
in cui ri-arrangia le canzoni; un po' per evitare un'operazione
nostalga (molto apprezzabile) e un po' per sopperire alla sua
estensione vocale sempre più ridotta, ma basta fare una rapida
ricerca su Wikipedia per conoscerne tutti i dettagli.
Personalmente
mi è capitato di vederlo dal vivo tre volte. La penultima, due anni
fa, al Palasport di Padova, con Mark Knopfler di spalla, la migliore.
Ricordo in particolare una versione molto dilatata di The Leeve's
gonna break, con quel canto rauco e ossessivo, come un mantra “If
it keep on rainin' the leeves' gonna break..” e poi l'effetto eco
sul microfono in Ballad of a thin man.. Senza contare che in
qualche pezzo imbracciava la chitarra, la band era carica e il volume
sostenuto; insomma un Bob in versione “anche se piove
chissenefrega”.
Lo
scorso 8 novembre il così detto “Never ending tour” lo ha
riportato a Padova, questa volta in una cornice più raccolta: il
Teatro Geox.
Dopo
l'esperienza positiva del 2011 decido di rivederlo; in più, da
quando Lou Reed ci ha lasciato, ho avuto la conferma che, per queste
leggende, ogni lasciata è persa.
Le
ottime aspettative sono state ahimè deluse.. Il volume era basso e
le sonorità rugginose che speravo, accantonate e sostituite da uno
stile più folk/rock. Insomma un Bob in veste low-fi un po'
noiosetto..
Delle
diciassette canzoni presenti in scaletta ne salvo solo tre, tutte
tratte dalle produzioni più recenti: “Love Sick” (da Time Out Of
Mind, 1997), “After Midnight” e la già citata “Long and
Wasted Years” (dall'ultimo “Tempest”). Dei pezzi più
conosciuti (ma suonati in versioni quasi irriconoscibili), nessuno mi
è rimasto impresso: né “Tangled up in blue” né “A Hard
Rain's A-Gonna Fall” né tantomeno “Blowin' in the wind”. Non
fraintendetemi, apprezzo il fatto che voglia reinventarsi
continuamente, che le canzoni non siano state scritte sulla pietra
(ecc. ecc.), ma questa volta era troppo anche per me.. Sarà per la
prossima.
Things have changed
She belongs to me
Beyond here lies nothin’
What good am I?
Waiting for you
Duquesne whistle
Pay in blood
Tangled up in blue
Love sick
Set 2
High water
Simple twist of fate
A hard rain’s a-gonna fall
Forgetful heart
Spirit on the water
Scarlet town
Soon after midnight
Long and wasted years
Encore
All along the watchtower
Blowin’ in the wind
Nessun commento:
Posta un commento