Immaginate di trovarvi nel
bel mezzo di un mantra urbano, una cerimonia per pochi eletti che sta
durando da più di due ore, e di guardarvi attorno per controllare se
qualcuno è già impazzito, cosa che potrebbe succedere anche a voi,
da un momento all'altro..
Sull' autostrada verso
Lubiana, né io né i tre con cui mi sono avventurato avevamo la
minima idea di ciò in cui ci saremmo imbattuti, se non per qualche
brevissima nota biografica o qualche spezzone su youtube (che per
inciso non danno un'idea nemmeno sommaria di quello che realmente
andavamo a vedere). Formatisi negli anni '80, gli Swans cominciarono
la carriera sulla scia di un certo hardcore-punk sfornando dischi
seminali. Si sciolsero a un certo punto degli anni '90 per poi
riunirsi nel 2010. Da quel momento hanno pubblicato una manciata di
album, l'ultimo dei quali “To Be Kind” è acclamato come uno dei
dischi dell'anno da testate come Pitchfork e affini. Full stop. Nulla
sapevamo più..
Avvolti da un'oscurità
totale, dalle dieci meno dieci il tempo si dilata, assume una
dimensione irreale. Incalcolabile l'introduzione di gong, l'arrivo
della batteria, i rumori della slide-guitar, la pulsazione costante
del basso e le distorsioni delle due chitarre. E siamo solo
all'inizio. Quello che è certo è il modo in cui, dopo una dinamica
tanto lenta quanto inesorabile, un FORTISSIMO e infinito accordo di
Do ci colpisce senza preavviso come un pugno in pieno volto,
risucchiando gli ascoltatori inerti in un profondo tunnel, a faccia a
faccia con le proprie ossessioni, in una spirale a caduta libera
senza fine. Tre le possibilità; scappare, affrontare l'abisso e
uscirne purificati, o farsi sormontare e restarne schiacciati. Una
cerimonia di tre ore, per pochi eletti, con un finale catartico che
non fa prigionieri.
I sei Swans poi,
sembrano usciti da un fumetto, il frontman Micheal Gira,
cinquant'anni, trascina la scena con un'irruenza implacabile. Il
chitarrista Norman Westberg, alto e asciutto, capelli bianchi radi e
lunga barba spara vagonate di rumore come se il feedback uscisse
direttamente dal suo corpo sputando scariche elettriche. Non è da
meno Christoph Hahn, baffi alla texana, camicia rossa, stivali e
brillantina, e una steel-guitar che non avrei mai pensato riuscisse a
produrre simili suoni. La sezione ritmica costituita dal
percussionista Thor Harris, il batterista Phil Puleo e il bassista
Christopher Pravdica fanno tremare il pavimento.
Uno scambio costante di
energia, un mantra urbano, come detto all'inizio, da cui solo dopo
esserne usciti vincitori si può capire il profondo impatto sulla
propria pelle. Come ho detto a Michael Gira a fine concerto “Dopo
aver vissuto tutto questo, non sarò più lo stesso..”.
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